IL NEW FRENCH STYLE: BEATON, L’ALTA SOCIETÀ E BALMAIN
STAGIONE 1, EPISODIO 5:
Per questo episodio, torniamo a quella prima fila che accoglieva i partecipanti alla prima sfilata Balmain. Infatti, seduta a fianco di Alice Toklas e Gertrude Stein c’era una loro cara amica, Cecil Beaton.
Cecil Beaton, dopo aver visto le nuove e fresche silhouette Balmain, che Alice Toklas descrisse usando la denominazione “New French Style”, iniziò immediatamente a diffondere il nome di Pierre Balmain. Si assicurò che tutti i suoi amici dell’alta società conoscessero la novità su di lui: Parigi contava un nuovo talento della moda e non potevano perderselo.
Per saperne di più su Cecil Beaton, ci siamo rivolti all’autrice e regista Lisa Immordino Vreeland.
Lisa Immordino Vreeland è immersa nel mondo della moda, dell’arte e della cultura da venticinque anni. Il suo primo libro era accompagnato dal suo debutto come regista del documentario eponimo: “Diana Vreeland: The Eye
Has to Travel” (2012). La prima europea del film si è tenuta al Festival del Cinema di Venezia e la sua prima americana al Telluride Film Festival. Vinse inoltre il Silver Hugo al Chicago Film Festival e la categoria dedicata alla moda del Design of the Year Awards, definiti gli Oscar del design, al Design Museum di Londra. La sua seconda pellicola, “Peggy Guggenheim: Art Addict”viene proiettato per la prima volta al Tribeca Film Festival (2015) con una prima europea che si è svolta invece all’Art Basel. Il suo secondo libro, “Love, Cecil” esce nell’ottobre 2017 per accompagnare l’uscita del film “Love, Cecil”che viene proiettato per la prima volta al Telluride Film Festival nel 2017. Lisa Immordino Vreeland ha curato e diretto la premiata serie di cortometraggi “Art of Style” per la rete di moda digitale Made to Measure.
I corti esplorano l’espressione creativa di designer innovativi catturando la loro strategia stilistica. Continua a creare opere per collezionisti, gallerie e musei. Il suo quarto film, “Truman & Tennessee: An Intimate Conversation” è stato accettato al Telluride Film Festival del 2020 e sarà proiettato in diversi festival in tutto il mondo nel 2021. Il film è attualmente il vincitore del premio di miglior documentario al Santa Fe Independent Film Festival e vincitore del premio di miglior film LGBTQ al Key West Film Festival.
DIANA E DUFF COOPER
Cecil Beaton ebbe una lunga relazione con un una nuova e importante potenza sulla scena sociale della Parigi del dopoguerra: lady Diana Cooper, l’aristocratica moglie del neo ambasciatore britannico Duff Cooper. Cecil Beaton adorava Duff Cooper da quando l’aveva incrociato nelle strade di Londra negli anni Venti.
Duff e Diana Cooper erano al centro di un nuovo punto nevralgico di artisti, stilisti ed esponenti dell’alta società di Parigi: il Salon Vert dell’ambasciata britannica.
In gioventù, Diana Cooper era considerata “la ragazza più bella del mondo”. Era un’attrice famosa che, si dice, ispirò almeno una mezza dozzina di personaggi dei romanzi di autori come Evelyn Waugh e Nancy Mitford.
La stampa dell’epoca la venerava, non solo per la straordinaria bellezza ma anche per dettare lo stile e per le sue maniere incredibilmente distinte nel vestire.
Amava farsi corteggiare dai ricchi giovani della sua generazione: prima della guerra, faceva parte di un gruppo britannico di giovani influenti chiamata “Coterie”, e tutti i giovanotti di questo gruppo pare le avessero scritto decine e decine di lettere dichiarando il loro eterno amore.
BALMAIN REINTERPRETA I SIMBOLI CLASSICI
Come abbiamo visto, grazie ai sostenitori dai mille contatti della nuova Maison, come Diana Cooper, Susan Alsop e Cecil Beaton, Pierre Balmain riuscì a trasformare velocemente il successo della sua prima presentazione nell’opportunità di vestire i personaggi più influenti nel settore della moda dell’epoca. La guerra aveva cambiato le cose, ovviamente, ma in qualsiasi momento le famiglie antiche casate, le famiglie storicamente ricche e l’alta società detenevano ancora un certo potere.
La Maison Balmain di oggi, con Olivier Rousteing al timone, continua a fare riferimento e a citare l’incredibile bellezza delle prime creazioni di Pierre Balmain e tutta la loro freschezza innovativa che aveva elettrizzato l’alta società dell’epoca. Rousteing riusce anche, però, ad appropriarsi dei codici e delle firme dell’alta società conferendole una visione moderna e nuova del lusso che parla alla nostra epoca e alla giovane, variegata e inclusiva Balmain Army per cui Olivier Rousteing pensa le sue creazioni di oggi.
È con la collezione Balmain dell’Autunno 2020 che Rousteing rende evidente la sua visione. Per questa sfilata, ha deciso di appropriarsi di tutti quei simboli della raffinatezza delle classe altolocata che una volta lo aveva escluso: stili caratteristici delle classi elevate, come i motivi dei foulard di seta, il motivo Vichy, i ricchi cashmere e i capi da equitazione…
E per la collezione del 2020, li reinterpreta completamente, giocando con gli accostamenti, le proporzioni, le posizioni e le silhouette finendo per sovvertire tutti questi codici della nobiltà facendo sfilare in passerella creazioni moderne e fresche.
Il suo obiettivo era quello di prendere il controllo dei simboli che rappresentavano un mondo di esclusione e ripensarli per la sua inclusiva e giovane sfilata Balmain. Prendendo tutte queste icone raffinate, un tempo ad appannaggio di un mondo inaccessibile di antiche e opulente famiglie, pensa a una collezione che celebrasse le porte aperte e le mentalità aperte di oggi.
DJANGO REINHARDT: ECHOES OF FRANCE (LA MARSEILLAISE)
Jean Reinhardt, noto con il soprannome romaní Django, fu il principale jazzista francese e, per molti critici, il miglior jazzista europeo di tutti i tempi. Due dei suoi successi aprirono e chiusero gli anni dell’occupazione di Francia. Il primo, “Nuages” (nuvole), è una delle sue composizioni più famose. Composta dopo la disfatta francese del 1940, diventò per molti una sorta di inno parigino non ufficiale, trasmettendo un senso di speranza per la libertà e la liberazione. Reinhardt, a differenza di molti romaní, riuscì a trovare un modo di evitare i campi di concentramento. Dopo che i nazisti bloccarono i suoi piani di fuga in Svizzera, riuscì comunque a tornare a Parigi e continuare a suonare. Purtroppo, la maggior parte dei romaní non aveva le sue conoscenze e non ebbe la sua fortuna. Si stima che furono oltre 600.000 i romaní rinchiusi e uccisi nei campi di concentramento durante il Porajmos (il genocidio nazista del popolo romaní). Ecco perché è facilmente comprensibile perché fu lui a segnare la liberazione con la sua celebrativa e gioiosa versione jazz, ormai leggendaria, della Marsigliese, l’inno nazionale francese. Allo stesso tempo, volle ricordare tutte le dolorose perdite componendo una commovente messa da requiem per le vittime del genocidio dei romaní, intitolata “Requiem à mes frères tsiganes”.
Credits :
Balmain Creative Director: Olivier Rousteing- Special Podcast Guest: Lisa Immordino Vreeland
- Special Podcast Guest: Lynn Yaeger
- Music: Echoes of France (La Marseillaise) by Django Reinhardt
- Additional Music: Jean-Michel Derain
- Episode Direction and Production: Seb Lascoux
- Balmain Historian: Julia Guillon
- Episode Coordination: Alya Nazaraly
- Research Assistance: Fatoumata Conte and Pénélope André
- Digital Coordination/Graphic Identity: Jeremy Mace
- Episode researched, written and presented by John Gilligan
- Podcast Webpages Design and Text: John Gilligan
To explore further:
Love, Cecil—the documentary film and book by Lisa Immordino Vreeland (Film: Zeitgeist Films, 2017; Book: Abrams, 2017)- Pierre Balmain’s Autobiography: My Years and Seasons, Doubleday, 1965